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«Quando sono sull'Himalaya parlo con Dio»

 

Pubblichiamo alcuni passi dell'intervista a Tiziano Terzani realizzata da Emanuela Citterio e Gerolamo Fazzini, pubblicata su «Mondo e missione» nel maggio 2002.

 

Per conoscere il mondo dovremmo tornare pellegrini
«A un certo punto della mia vita, mi sono accorto di non conoscere affatto i Paesi in cui viaggiavo. Come giornalista passavo dall'aereo al taxi e viceversa. La verità è che bisognerebbe tornare a essere pellegrini. Il pellegrino è uno che nutre rispetto per il posto in cui va, vive nel timore di ciò che sta incontrando».

Seguire i gesuiti per immedesimarsi nell'altro
«Per me ogni religione vale come cammino verso la verità, ma la prima persona che cerco quando arrivo in un posto è un gesuita. Se riesco a trovarlo, mi si apre una porta per conoscere l'anima dell'altro. Mi hanno sempre affascinato, i gesuiti, perché si immergono profondamente nella realtà in cui si trovano, la studiano, la assimilano. Sono le più belle spie nell'animo dell'altro»

Rispetto i missionari perch
é sanno inserirsi e condividere
«Dei missionari ho un grandissimo rispetto, perché dedicano la vita ad annunciare quella che per loro è la verità, ma lo fanno inserendosi in profondità nelle culture locali e cercando la condivisione, spesso estrema».

Sulle montagne dell'Himalaya sento di parlare con Dio
«Non mi riconosco in una religione o una chiesa, ma quando sono fra le montagne dell'Himalaya parlo con Dio. Qualcuno dice che se Dio ha perso l'indirizzo dell'Europa, lì invece sta di casa da millenni. Un giorno ho visto passare un vecchio dall'aspetto nobile, avvolto in vesti color arancione (il colore simbolo del fuoco, che illumina la tenebra dell'ignoranza e brucia la materia). Quell'uomo era un vecchio serjasi, che aveva rinunciato ai desideri materiali per vivere una vita ascetica. Lo seguiva un giovane discepolo. "Dove stai andando, marahaji?", gli ho chiesto. "I'm looking for God", ("In cerca di Dio"), mi ha risposto il vecchio. Le montagne indiane riservano incontri del genere».

L'uomo sceglie i mezzi, ma il fine appartiene all'Altro
«Al contrario del buon Machiavelli, fiorentino come me, non credo che il fine giustifichi i mezzi. Sono convinto che l'uomo abbia a disposizione la scelta dei mezzi, ma non del fine. Il fine delle cose appartiene a qualcun Altro, noi possiamo decidere quali mezzi usare, ne abbiamo la responsabilità e, probabilmente, se scegliamo i mezzi giusti abbiamo la possibilità di dare un contributo a un fine giusto. La Ghita insegna che ognuno deve fare quello che deve essere fatto senza attendersi risultati. È quest'ansia da prestazioni, la pretesa dell'efficienza a tutti costi ad aver rovinato la nostra civiltà occidentale, ad averci sottratto la poesia della vita».

 

 

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