Per conoscere il mondo dovremmo tornare pellegrini
«A
un certo punto della mia vita, mi sono accorto di non conoscere affatto i
Paesi in cui viaggiavo. Come giornalista passavo dall'aereo al taxi e
viceversa. La verità
è
che bisognerebbe tornare a essere pellegrini. Il pellegrino è
uno che nutre rispetto per il posto in cui va, vive nel timore di ciò
che sta incontrando».
Seguire i gesuiti per immedesimarsi nell'altro
«Per
me ogni religione vale come cammino verso la verità,
ma la prima persona che cerco quando arrivo in un posto è
un gesuita. Se riesco a trovarlo, mi si apre una porta per conoscere l'anima
dell'altro. Mi hanno sempre affascinato, i gesuiti, perché
si immergono profondamente nella realtà in cui si trovano, la studiano, la
assimilano. Sono le più
belle spie nell'animo dell'altro»
Rispetto i missionari perché sanno inserirsi e condividere
«Dei
missionari ho un grandissimo rispetto, perché dedicano la vita ad annunciare
quella che per loro è
la verità,
ma lo fanno inserendosi in profondità nelle culture locali e cercando la
condivisione, spesso estrema».
Sulle montagne dell'Himalaya sento di parlare con Dio
«Non
mi riconosco in una religione o una chiesa, ma quando sono fra le montagne
dell'Himalaya parlo con Dio. Qualcuno dice che se Dio ha perso l'indirizzo
dell'Europa, lì
invece sta di casa da millenni. Un giorno ho visto passare un vecchio
dall'aspetto nobile, avvolto in vesti color arancione (il colore simbolo del
fuoco, che illumina la tenebra dell'ignoranza e brucia la materia).
Quell'uomo era un vecchio serjasi, che aveva rinunciato ai desideri materiali
per vivere una vita ascetica. Lo seguiva un giovane discepolo. "Dove
stai andando, marahaji?", gli ho chiesto. "I'm looking for
God", ("In cerca di Dio"), mi ha risposto il vecchio. Le montagne
indiane riservano incontri del genere».
L'uomo sceglie i mezzi, ma il fine appartiene all'Altro
«Al
contrario del buon Machiavelli, fiorentino come me, non credo che il fine
giustifichi i mezzi. Sono convinto che l'uomo abbia a disposizione la scelta
dei mezzi, ma non del fine. Il fine delle cose appartiene a qualcun Altro,
noi possiamo decidere quali mezzi usare, ne abbiamo la responsabilità
e, probabilmente, se scegliamo i mezzi giusti abbiamo la possibilità
di dare un contributo a un fine giusto. La Ghita insegna che ognuno deve fare quello che
deve essere fatto senza attendersi risultati. È quest'ansia da prestazioni, la
pretesa dell'efficienza a tutti costi ad aver rovinato la nostra civiltà
occidentale, ad averci sottratto la poesia della vita».
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